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“Mendicanti” di energia

“Nel mondo le persone possono apparire diverse o avere una religione, un’istruzione o una posizione diverse, ma sono tutte uguali. Sono persone da amare, hanno tutte fame d’amore. La gente che vedete per le strade di Calcutta ha fame nel corpo, ma anche quella che vedete a Londra o a New York ha una fame che deve essere soddisfatta, ogni persona ha bisogno di essere amata. La lebbra del mondo occidentale è la solitudine”. Madre Teresa

C’è un altro tipo di energia al di fuori di quella elettrica. Talvolta, si sente dire “sono a terra”, “mi ha lasciato la ragazza”, “il capoufficio mi tratta male”, “ho fatto una brutta figura” … E poi poco dopo, fanno la loro comparsa sigarette o alcolici, ci si da al gioco o al cibo in eccesso, allo shopping smodato, e subentrano stanchezza, litigi, o la voglia di andare via per un viaggio, etc. Cosa succede?

Succede che si sta compensando. Cosa? Un vuoto, una mancanza… ma di cosa? Della ragazza, delle aspettative deluse, etc? Forse. Ma proviamo a vederla in un altro modo. Supponiamo cioè di star cercando di compensare una dispersione e immaginiamola come fosse una “dispersione di energia”.

Supponiamo, inoltre, che quest’ultima sia strettamente correlata alla nostra attenzione, a quei pensieri non controllati, collegati a ciò a cui ascriviamo il problema. Sulla base di questa ipotesi “energetica”, potremmo compilare un bilancio contabile completo delle nostre giornate, una fotografia delle nostre interazioni, con le cose e le persone, o meglio, con le nostre rappresentazioni delle stesse.

Pensiamo di cercare il cibo, ma quello che desideriamo inconsciamente è l’energia contenuta in questo; abbiamo sonno e andiamo a dormire senza sapere che ci stiamo collegando al distributore di quell’energia; pensiamo di amare ed invece “quaeremos” (1), cioè cerchiamo l’altro/a che ci manca. Litighiamo, inquisiamo, facciamo le vittime, ma quello che veramente cerchiamo è l’interazione con gli altri, ovvero l’attenzione altrui, per condividerne l’energia, ovvero la benzina dell’altro.

Possiamo essere ricchi (economicamente) per esempio, ma se non siamo, almeno a livello intuitivo, consapevoli di questo principio, ci illuderemo di poter ottenere con il denaro, ciò che ci manca, e che può essere invece acquisito solo in altra maniera. Riassumendo, molti di noi sono inconsapevoli “mendicanti”, alcuni inconsapevoli “donatori”, pochi “parassiti/predatori” coscienti, ed ancora meno sono quelli pienamente consapevoli del meccanismo.

Osserviamo il clima spesso diffuso in ambito lavorativo: paure, invidie, aggressività dissimulate, competizione, ipocrisie; in altri termini, distacco, formalità, formule di convenienza, sorrisi non genuini, opportunismi. In tale ambiente, lo scambio di “energia” è minimo e comunque di scarsa qualità. Cerchiamo dunque compensazioni più o meno inconsapevoli in altri contesti, soprattutto nelle interazioni familiari, con i figli (non a caso spesso oggetto di contesa in relazioni fallite) e il partner, oppure con gli amici, persino nelle riunioni di condominio (dove l’interazione è spesso di qualità molto bassa…), o tra tifosi allo stadio (interazione di contrasto col “nemico” della squadra rivale, o di condivisione con gli alleati della propria squadra) etc…

In questo territorio di “carestia emozionale/energetica” ben si colloca il mondo dello spettacolo, in tutte le sue forme, con la sua capacità di catalizzare attenzione… la nostra in questo caso. L’attenzione, ovvero il nostro migliore sé, viene così imprigionato da un serial thriller, in un gioco a premi, in una telenovela, in un incontro di wrestling finto (2), da un finto confronto nella finta dialettica della politica, o ancora da un video virale su youtube.

In pratica, o ci nutriamo dell’attenzione degli altri o nutriamo gli apparati deputati a farsi consegnare, noi compiacenti, la nostra, a cui abdichiamo addormentandoci, pur essendo fisicamente svegli: la tv, i partiti, le squadre di calcio, i fanatismi e via dicendo.

A nessuno basta mai, però, perché tutto sommato si percepisce che tale “nutrimento” è un surrogato che non compensa il reale bisogno. Nel profondo, invece, vogliamo fatti, sensazioni nuove e vere, emozioni vere con cui risuonare, fresche come un frutto di stagione.

Del resto all’uomo non bastano aria e cibo… occorrono sensazioni, possibilmente di qualità. Si cercano emozioni con cui risuonare, di natura affine a se stessi… ma nella realtà, senza saper osservare, non se ne trovano con immediatezza. Allo scopo provvede allora la tv, che raccoglie solo ciò che è più facile reperire per intrattenere (e programmare) un pubblico, non sempre erudito e consapevole. Ultimamente, prodromi di guerra e cronaca nera vanno per la maggiore.

Si è creato alla bisogna il mercato delle emozioni “pret a porter” dove, in un preciso e circoscritto settore “politicamente corretto”, quale una competizione sportiva, ad esempio, (che di per se stesso sarebbe inutile), vengono poste le migliori condizioni affinché in un contesto di tensione si manifestino, amplificate, le emozioni liberate dai protagonisti, con cui il pubblico può identificarsi.

Calcio, tennis, oppure, le esibizioni canore, dove lo spettatore risuona con l’emozione del cantante, sempre che quest’ultimo ne abbia da trasmettere. Dunque la competizione sportiva, poi i cantanti e le loro emozioni, ed infine l’ibrido tra queste due categorie, ovvero le gare tra cantanti (dove viene premiato lo stato d’animo più “nudo” sul palco, meglio se anche intonato …). Ancora: le gare tra più o meno improvvisati cuochi, tutti giudicati da una giuria di “cattivi” da cui però non trapela emozione, che dissimula, cela, che non “scambia”, anzi, ruba ed assorbe, aggredendo palesemente.

Insomma, contesti di tensione, come la fame nell’ “isola dei famosi” (termine da intendere come “pieni di fame”), o il forzato isolamento “riproduttivo” (3) dei “Grandi Fratelli”, per spremere e servire lampi di emozione, di identificazione altrui.

In una cultura dove da tempo è normale, quindi legittimo, anzi, educato, fingere, mentire, dissimulare, recitare, forse rimane a molti una “sete di verità” da compensare. È per questo che lo sport è spettacolo, perché consente di vivere, in una dimensione parallela e affrancata, emozioni altrimenti celate. Si cerca ovunque la “nudità” delle emozioni, per “nutrirsi” di quei lampi di genuinità, ovvero, di “energia liberata”.

“Verità” corrisponderebbe dunque a “energia libera” (4), di cui in molti forse hanno inconsapevolmente “fame”, energia altrimenti sempre trattenuta con cura e raramente scambiata. In sintesi, ecco una forma di compensazione per un mondo, in cui ci si nasconde, e dove ognuno si isola e recita la propria parte. Questo “colosseo” moderno ha dunque una funzione di surrogato stabilizzante della società. Una componente essenziale all’equilibrio del nostro misero ecosistema mentale globale.

Occorre una nuova consapevolezza che ci faccia capire che i veri nutrimenti sono già e sempre alla nostra portata, e che il mondo in cui viviamo, in fondo, è un prodotto proprio del livello di consapevolezza di tutti noi. Lo creiamo noi indirettamente, con la nostra “sete” e domanda inespressa, puntualmente estinta dal tempestivo e artificiale mercato dei surrogati. Il digiuno è, quindi, forse, il primo passo per la disintossicazione.

Note:

1) È curioso che, in spagnolo, “amare” si traduca con “quiero”, dal latino “quaero”, ovvero ricercare, parola “centripeta”.
2) Agli inebetiti spettatori non interessa la genuinità del combattimento, ma piacevolmente indulgere nelle sensazioni che lo show evoca dentro di loro.
3) Basta assistere a una puntata della versione britannica.
4)”La verità vi renderà liberi”- Gesù

Fonte: http://www.educazionementale.it/mendicanti-di-energia/

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