La fede, impastata di ragionevolezza, è dono di Dio e conquista dell’uomo 1 .. 12 .. 19

La fede, impastata di ragionevolezza, è dono di Dio e conquista dell’uomo

 Ancora oggi uno dei punti centrali della teologia e della vita cristiana è il rapporto tra grazia divina e libertà umana, tra dono e conquista della fede. In tutta la storia del cristianesimo c’è la preoccupazione costante di salvaguardare la gratuita iniziativa di Dio e la collaborazione umana.

Per primo è Dio che ama, si rivela e va incontro all’uomo suscitando in lui la disponibilità a credere. Dio certamente offre a tutti gli uomini la grazia necessaria per giungere alla fede, sia sotto forma di illuminazione che di ispirazione. Ma se non tutti l’accettano, è perché sono interiormente mal disposti, e ritengono che unico modo valido di conoscenza in ogni campo sia quello razionale.
E invece, come avviene nei rapporti umani, Dio-persona va conosciuto attraverso la spontanea e amorevole comunicazione che Egli fa di sé e attraverso l’accettazione di questa comunicazione da parte dell’uomo. Ciò che Dio concede per pura bontà è un dono, ma lo concede solo a coloro che lo vogliono e non pongono ostacoli alla sua azione. Per credere ci vuole già una certa disposizione e volontà di credere, una certa apertura d’animo, che Gesù esprime dicendo che se non si diventa simili ai bambini non si può entrare nel regno dei cieli.
Dio “si propone” all’uomo con segni, indizi, tracce, impronte della sua potenza, e “non si impone” apparendo sfolgorante nella sua gloria: vuole instaurare con le sue creature un rapporto libero e non una dipendenza necessaria. E’ la strategia divina del nascondimento, della discrezione: sembra che Dio stia a “giocare a rimpiattino” con gli uomini. Così Pascal giustamente ha detto: “Se Dio si scoprisse interamente, non vi sarebbe alcun merito nel credere in Lui. E poi, c’è abbastanza luce (cioè ci sono prove sufficienti) per chi vuol credere, e abbastanza buio per chi non vuol credere”.
La fede è accoglimento da parte dell’uomo dell’iniziativa salvifica di Dio: è un lasciarsi incontrare da Dio e un accoglierlo pienamente e liberamente nella propria vita. Il dono di Dio è una semente: porta i frutti se il terreno è disposto, è lavorato; non è come un assegno firmato in bianco, che si può intascare senza impegni. Non c’è dono divino che non esiga la nostra corrispondenza e collaborazione.
La fede impegna l’intelligenza, il cuore, il nostro modo di agire in pubblico e in privato. Ma tanti che non vogliono impegni assumono la “posizione di comodo” di scettici, non sono disposti a mettere la verità al di sopra dell’amor proprio e delle vedute personali. Altro che posizione critica in costoro! E’ la fuga di fronte agli impegni, è il rifiuto dell’invisibile per cupidigia del visibile.
Sì, la fede è adesione a verità soprannaturali, sulla base del ragionamento e della testimonianza divina. Questo vuol dire che la fede è sempre un atto dell’intelligenza: che prima indaga sul fatto dell’esistenza di Dio e sulla sua manifestazione in Gesù di Nazaret, e poi sotto l’impulso della volontà aderisce alla verità rivelata, per l’autorità di Dio che parla. Quindi l’intelligenza prepara l’atto di fede, discutendo i motivi per i quali è ragionevole credere; poi la volontà determina l’intelligenza a piegarsi alla certezza morale raggiunta. Sullo sfondo c’è sempre la grazia divina, che illumina l’intelligenza e piega la volontà ad accettare i doveri derivanti dalla fede.
Quando la realtà delle cose non è manifesta, l’intelligenza è in parte libera di aderire alle sue conclusioni: non è indotta a credere dalla potenza conoscitiva, ma dal volere. Ora arriva a credere chi “vuole” e sceglie come veritiero quanto dice colui che parla: si fida di quella persona giudicata degna di fede: accetta senza riserve una realtà di fatto che rimane oscura. La verità soprannaturale non ha una intrinseca evidenza che si impone all’intelletto; ma è credibile, perché Dio l’ha rivelata, ed è fondata su argomenti che conferiscono all’assenso una nota di ragionevolezza. Questa specie di giustificazione razionale di quanto viene creduto, precede ed accompagna l’atto di fede. E l’uomo, nella misura in cui accoglie e fa proprio il dono della fede, lo conquista e lo trasforma in uno stile personale di vita. La fede è convinzione, è conquista combattuta, e non è affatto un possesso pacifico: è spesso insidiata dal dubbio, attaccata dall’orgoglio, ammortizzata dal disordine morale. Anche i santi furono tormentati da aridità spirituali e insidiati da dubbi e tentazioni, ma reagirono con volontà tenace.
Quindi la fede non è un accendino automatico; è una fiaccola che, per illuminare e riscaldare, va alimentata con la coerenza di vita e con un rapporto d’intimità con Dio. Per cui spetta a ciascuno di noi non avere la mente troppo assorbita in problemi concreti, elevarci ad una maggiore sensibilità verso il mondo dello spirito, e considerare la fede come il massimo problema della nostra esistenza: quello che le conferisce significato e gusto, quello che ci porta a sentir cantare in sé la gioia di vivere.
Apriamoci a questo meraviglioso, immenso cielo dello spirito! E la quotidianità acquista una iridescenza di luci e di colori, e diventa una pedana di lancio verso “cieli nuovi e terra nuova”.

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