E se guarderai a lungo in un abisso,
anche l’abisso guarderà dentro di te
Nietzsche
 
Il demone è per l’uomo la sua condotta,
la guida del suo condursi
Eraclito         
 
 Le molte personalità del mondo notturno si infondono
negli atteggiamenti che dominano la nostra vita diurna
Hillman
 
E quand’anche l’obiettivo da perseguire fosse l’unità della personalità,
sappiamo dagli antichi psicologi alchemici che
‘soltanto ciò che è separato può essere unito’
Hillman
 

Freud: seduzione e fantasia del trauma 

Platone narra che Socrate dicesse di essere stato guidato, ammonito, spronato, in determinati momenti della sua vita, da non so che spirito divino e demoniaco, da una voce profetica che dirigeva le sue azioni, i suoi comportamenti. Quel non so che di cui parla Socrate, capace di influenzare le scelte della sua vita, dimora nel mondo delle immagini. La saggezza greca ci rivela una grande verità in questo senso. Siamo abitati da dei e demoni che condizionano il nostro agire, il nostro sentire, il nostro modo di essere e di fantasticare, i quali, se vogliamo porgere loro attenzione, possono arricchirci della loro antica sapienza. Conosci te stesso è il motto inciso sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, le stesse parole che fanno da fondamento alla dottrina socratica. Conoscere se stessi vuol dire saper ascoltare le voci, le immagini, le persone che sono dentro di noi, che fanno parte di noi ma che non sono nostre.

Jung ci ha insegnato che dentro di noi esistono, oltre l’io cosciente, molte personalità appartenenti al regno della notte, un piccolo popolo di immagini che chiedono di essere ascoltate. Riprende dagli antichi il motto del Conosci te stesso, ed è costretto egli stesso a fare i conti con se stesso e con le sue persone interiori, come si evince dalla sua biografia curata dalla Jaffé. Alla fine di luglio del 1914 per Jung iniziò un periodo di crisi profonda. Fu assalito da un flusso incessante di fantasie di fronte alle quali, egli stesso disse di aver fattodel suo meglio per non perdere la testa. Per alcuni comeNietzsche, Hölderlin e molti altri era stata la rovina.

Egli narra di essere stato ammonito, in sogno, dall’immagine di Filemone, un poeta comico greco vissuto tra il IV ed il III secolo a.C., il quale lo esortava a non rapportarsi ai pensieri, alle immagini come se fosse il loro creatore. Come Virgilio per Dante, il poeta greco lo guidò nel mondo delle immagini a scoprire che esse sono dotate di vita propria, come animali nella foresta, o uccelli nell’aria. Filemone gli insegnò a confrontarsi con la realtà dell’anima. Si tratta di una tappa importante per la vita di Jung e per la psicologia analitica.Quello di Jung rappresenta un nuovo modo di interpretare il motto greco, e quindi di intendere l’introspezione.

Hillman, il fondatore della psicologia archetipica, ricorda come prima di Freud la conoscenza di se stessi riguardasse essenzialmente la riflessione sull’io e sulle sue funzioni. Tramite Freud e la scoperta dell’inconscio l’indagine si è estesa a tutto l’arco della vita dell’essere umano.Ma dopo Jung Conosci te stesso significa un conoscere archetipico, un conoscere demonico. Conoscere se stessi vuol dire avere familiarità con una molteplicità di figure psichiche provenienti da contesti geografici, storici e culturali diversi, da cento canali al di là dell’identità personale.Non si può conoscere se stessi senza far riferimento ai daimonia, a quelle particolari creature nell’immaginazione che continuamente incontriamo che sono le immagini archetipiche.Imparare a conoscere se stessi per Jung significa guardare dentro se stessi ed incontrare le personificazioni che sono dentro di noi,imparando a dischiudersi ai dèmoni, ad ascoltarli e quindi a conoscerli e distinguerli.

Le parole greche daimon e daimonio esprimono una potenza, una forza determinante non soggetta all’arbitrio dell’individuo che ne è il portatore. Sono le forze della natura che oggi noi definiamo impulsi. Jung definisce questa loro forza come volontà di Dio o azione di forze naturali. Ed aggiunge che è psicologicamente corretto spiegare come volontà di Dio le forze della natura che si manifestano in noi come impulsi.È opportuno chiarire che per Jung il concetto di Dio in queste espressioni non va inteso in senso cristiano, bensì in quello che gli dà Diotima quando dice: Eros, caro Socrate, è un demone potente.Tornando agli impulsi, essi non sono desideri e voleri arbitrari, bensì dati assoluti con i quali bisogna confrontarsi anche perché la volontà è capace di dominarli solo parzialmente. Forse li può reprimere, ma non può alterare la loro natura che comunque ricompare in altro luogo e in altra forma, aggravata da un sentimento che ci inimica l’impulso naturale che originariamente era innocuo.

Hillman dall’esperienza di Jung riprende il concetto che le immagini, che determinano il nostro rapporto con l’esperienza, non dipendono da noi. Emergono in noi come divinità che non sono la concettualizzazione, l’allegoria di uno stato emotivo, ma esistono con esso e prima di esso. Egli scrive che Pan e il suo panico, Esculapio e la sua azione guaritrice compaiono simultaneamente.Sono i daimones del regno intermedio, il metaxy di Platone, non del tutto dèi trascendenti né esseri umani corporei, come Diotima per Socrate.

Per Platone i demoni sono i mediatori tra dio e l’uomo. Scrive infatti nel Simposio che ogni essere demoniaco sta in mezzo tra dio e il mortalee rappresenta l’unico modo per comunicare con la divinità. L’uomo che, nel sonno o nella veglia, sia in contatto con i dèmoni è detto demonico, chi invece pratichi altri mestieri, più tecnici, è soltanto un uomo generico. I dèmoni abitano, dunque, il terzo regno, o regno intermedio tra il divino e l’umano, tra il notturno ed il diurno, che la tradizione ha chiamato anima.

Plotino nelle Enneadi riteneva che i dèmoni e le anime potessero utilizzare la parola. Il Cristianesimo, invece, ha combattuto il politeismo degli antichi togliendo la parola alla molteplicità, che è divenuta demoniaca. Così il Cristo è assurto al ruolo di unico Logos, il vero Verbo, lasciando nell’oblio o demonizzando ogni altra divinità. La cristallizzazione dogmatica della nostra cultura religiosa monoteistica, scrive Hillman,ha proiettato sui dèmoni la propria rimozione, chiamandoli forze del rifiuto e della negazione, generando una coscienza chiusa all’esperienza dell’anima, di un mondo morto e sepolto, di una realtà daimonica che poteva essere conosciuta soltanto tramite le allucinazioni o la follia. E daimon è l’espressione greca originaria per queste figure, che successivamente, con l’avvento e la diffusione del Cristianesimo, divennero demòni, o dèmoni in contraddizione positiva con tale visione.

Conoscere se stessi non vuol dire conoscere il proprio io monoteistico ma, come l’immagine di Filemone insegnò a Jung nel suo sogno, aprirsi ai propri dèmoni, alle immagini della psiche che non sono più nostre di quanto lo siano gli animali della foresta o gli uccelli nell’aria. Il rischio che si corre altrimenti è quello di divenire aridi, rinforzando soltanto il letteralismo dell’io.

Il regno delle immagini fantastiche viene chiamato da Jung realtà dell’anima, ed Hillman aggiunge che le stesse immagini sono anime. Il nostro compito è quello di rapportarci ad esse a quel livello, come anime. E in quanto immagine anche l’io è un’anima.

Prima della nascita dell’Io, secondo Jung, il mondo aveva una consistenza fisica ma era anonimo poiché ancora non si era sviluppata abbastanza, seppur fosse comunque già presente, quell’essenza psichica espressa dalla frase che segnò l’inizio del tempo, il primo mattino del mondo, il primo albore dopo le tenebre originarie: Questo è il mondo e questo sono io. Quello fu il momento in cui il figlio dell’oscurità, l’Io, operò la distinzione conoscitiva tra soggetto e oggetto dando al mondo e a se stesso un’esistenza definita, una voce ed un nome. Come si rese conto anche Freud formulando la sua seconda topica, l’Io non può che nascere da quello che egli chiama Es, mentre per Jung da ciò che egli chiama anima. Jung infatti scrive che la base dell’Io è l’oscurità della psiche. È questo mondo dell’oscurità, della notte che dobbiamo recuperare, salvare dal monoteismo della coscienza, riaprendo le porte alle immagini poiché la nostra vita nell’anima è una vita nell’immaginazione.

Le immagini, lo sappiamo da Jung, sono il primo prodotto della psiche. Con le immagini il biologico si fa psichico: l’istinto appercepisce se stesso e nasce la psiche. Kirksey scrive che le immagini che non si lasciano mettere a fuoco sono residui fantasmatici che ci tormentano. Ma è possibile trasformare il fantasma in ospite tramite la personizzazione. La definizione della parola ospite riportata su The Oxford English Dictionary è la seguente: una persona o una cosa personizzata, che arriva e viene accolta. Per Hillman personizzare l’immagine è un modo di conoscere l’immagine, è l’avere esperienza spontaneamente, avere visione e parlare delle configurazioni dell’esistenza come presenze psichiche. Non dobbiamo aspettarci che le immagini vengano da noi, imparino la nostra lingua, ma siamo noi ad abitare nella loro casa ed a dover imparare a comunicare con loro. Ed il linguaggio immaginale è un linguaggio personificato, che soltanto un io immaginale, un io fatto immagine tra le altre immagini, è in grado di comprendere. Per Jung quello che noi apprendiamo dai nostri sogni è la vera essenza della natura psichica che non è un io, ma un noi; non uno ma molti. La coscienza monoteistica è insufficiente per entrare in contatto e confrontarsi con le profondità psichiche mentre la coscienza politeistica può vagare dappertutto, nelle valli e lungo i fiumi, nei boschi, nel cielo e sotto terra. Jung afferma che l’anima è la personificazione dell’inconscio. Hillman continua dicendo che l’anima è anche l’iniziatrice alla comprensione immaginale, essa opera come il complesso, che mette in rapporto la nostra coscienza usuale con l’immaginazione. Essa è allo stesso tempo il ponte verso l’immaginale e l’altra sponda. Ma non esiste relazione con l’anima senza la scintilla del desiderio, senza l’amore, come non esiste Psiche senza Eros, suo sposo. Soltanto attraverso l’amore possiamo riconoscere l’anima.

            Secondo Platone gli dèi non si mischiano con l’uomo. Solo per mezzo di Amore è loro possibile ogni comunione e colloquio con gli uomini, in veglia o in sonno. Amore acceca la vista comune (molte statue e pitture lo rappresentano bendato), ma ci rivela una realtà che con gli occhi del diurno, della scienza, della spiegazione non saremmo in grado di percepire. Egli fu concepito, sempre secondo il racconto di Platone, nello stesso giorno in cui nacque Afrodite, la dea della bellezza. Da qui il suo legame con tutto ciò che è bello, con l’anima e quindi con il mondo immaginale.

            Secondo Hillman l’anima è bellezza, natura, è il passato arcaico a noi lontano e straniero, il pandemonio del fantastico, l’archetipo. Se essa non c’è noi avvizziamo (non più bellezza, né natura, né fantasia). Essa si esprime attraverso le personificazioni, dei daimones che, se ben accetti, ci offrono la loro protezione, la protezione delle immagini dei defunti che per noi ebbero importanza, delle figure ancestrali della stirpe. Le persone famose della cultura e della storia, i personaggi delle favole vivono in noi come una moltitudine di protettori.

Jung considerava la vita dell’individuo un percorso volto a raggiungere quello che realmente egli è, il suo Sé, e definisce quella che potremmo chiamare la sua storia come processo di individuazione. Non esiste, però, soltanto il processo di individuazione di una vita, ma un individuo è attraversato da più percorsi psichici nell’ambito della sua vita, da più processi di individuazione che tendono a Sé differenti. Si può andare ancora oltre seguendo gli insegnamenti delle civiltà dell’antica Grecia, che onoravano le divinità per meritarsi i loro favori. Hillman ricorda che la cultura ha alla base un suo sfondo mitico policentrico. Egli non si riferisce alla Grecia in senso letterale ma imagistico, ad una Grecia che comprende tutte le epoche dalla minoica all’ellenistica, tutte le località dall’Asia Minore alla Sicilia. Una Grecia che rimanda ad una regione storica e geografica psichica, una Grecia fantastica e mitica.

La nostra psiche è politeista come era politeista il culto nell’antica Grecia. Euripide diceva che sono molte le forme dei daimon, allo stesso modo in cui una immagine è differente da un’altra.La chiave è nel come se, dove tali figure vivono ed hanno voce, corpo, movimento e pensiero, pur essendo del tutto immaginarie. Si sta parlando della realtà psichica che si presenta sotto l’aspetto di dèmoni.Scrive Hillman: Per mezzo di queste realtà demoniache, Jung ha confermato l’autonomia dell’anima … anima e dèmoni si implicano vicendevolmente e persino si necessitano l’un l’altro.

Jung, pur ponendo l’accento sull’unità della psiche, definì l’individuazione come un processo di differenziazione, di distinzione delle voci e delle persone insite in ciascuno di noi. Secondo Hillman ognuna di queste voci, persone segue un suo percorso individuale, un suo processo di individuazione che conduce ad una meta, al sé della singola immagine. Esistono nella nostra psiche, dunque, delle immagini che vengono da lontano, dal regno dei morti, o regno di Ade. Sono i nostri antenati, i progenitori storici, o archetipici che attraversano la nostra esistenza vivendo le loro storie.Jung ci insegna a considerare il fine a cui tendono i personaggi e il luogo ove si dirigono, perché sono questi aspetti che principalmente influenzano la forma delle storie.

Scrive ancora Hillman: Ciascun personaggio, nel suo individuarsi, porta con sé la sua trama, scrivendo la sua storia in avanti e a ritroso. Jung dà molto più peso al singolo personaggio che non alla narrazione o alla trama.

Questa molteplicità di persone abita luoghi e tempi diversi dalle nostre scansioni spazio-temporali, segue percorsi molteplici ed autonomi dal nostro io, dalla nostra vita diurna. Allo stesso tempo, però, gli dèi e i dèmoni che sono dentro di noi possono rappresentare la nostra ricchezza se sapremo rispettarli ed averne cura,facendo tesoro dell’insegnamento degli antichi, del Conosci te stesso inciso sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.