ARJUNA E NOI

Arjuna e noi di Vishaka devi dasi [Dettaglio di un dipinto di Yadurani Devi Dasi]

 

Seguendo l’esempio di Arjuna, possiamo rivolgerci a Sri Krishna e risolvere una volta per tutte i nostri problemi. Ultimamente ho riletto il primo capitolo della Bhagavad-gita e ho sentito per Arjuna e per il suo dilemma doloroso un’ondata di empatia mai provata prima. I suoi problemi sono anche i miei e forse i nostri. In primo luogo, i suoi attaccamenti materiali gli annebbiano l’intelligenza e la capacità di agire; egli lo rivela dicendo: “Non posso restare più a lungo qui, non sono più padrone di me e la mia mente vacilla. Prevedo solo avvenimenti funesti, o Krishna.” (Gita 1.30)

In secondo luogo, a causa dei suoi attaccamenti, Arjuna è sicuro che fare il suo dovere, cioè combattere e vincere la guerra, non gli procurerà alcuna gioia, né alcun piacere. Egli dice: “Quale vantaggio avremo dallo sterminio dei figli di Dhritarastra?” (Gita 1.31-35) In altre parole, l’esito dello scontro imminente è esattamente l’opposto di ciò che egli desidera. Arjuna paventa inoltre i risultati di una sua possibile vittoria: “Saremo sopraffatti dal peccato se uccidiamo questi aggressori.” (Gita 1.36) Si aspetta conseguenze rovinose dall’uccisione dei suoi avversari e a prescindere da chi vincerà, due dinastie sono pronte alla distruzione reciproca. Arjuna si sente profondamente coinvolto negli orrori di questa guerra: “La distruzione di una famiglia comporta il crollo delle tradizioni familiari eterne e di conseguenza i suoi discendenti sprofondano nell’irreligione.” (Gita 1.39)

Morti gli anziani, i più giovani, uomini e donne sopravvissuti, finirebbero in una deriva atea e materialistica I valori familiari non passerebbero dunque alle generazioni future, i bambini verrebbero trascurati e sia i piani comunitari che i programmi di sostegno alla famiglia subirebbero una battuta d’arresto. In altre parole, la società cadrebbe nel caos. Arjuna vuole fare la cosa giusta e cerca di vagliare le diverse opzioni avvalendosi della logica, del ragionamento e della saggezza scritturale. Tuttavia, malgrado le sue migliori intenzioni, è inesorabilmente disperato e depresso.

Allora chiede a Krishna: “Come potrei nel corso della battaglia respingere con le mie frecce uomini degni della mia venerazione? Preferirei mendicare. Non so se sia meglio vincerli o esserne vinti. Se li uccidessi, perderei il gusto di vivere. Sono confuso sul mio dovere e ho perso ogni contegno. Istruiscimi, Ti prego.” (Gita 2.4-7, estratti) Arjuna è in una situazione estrema, ma i suoi attaccamenti materiali, le sue speranze di felicità, la confusione, la paura e i sensi di colpa sono emozioni che in una certa misura tutti noi proviamo e con cui possiamo identificarci. Krishna risponderà ad Arjuna trasmettendogli una conoscenza che trasformerà ed edificherà per sempre la sua coscienza e la nostra.

Gli Insegnamenti di Dio, la Persona Suprema

Krishna inizia spiegando che l’anima è eterna e il corpo transitorio: “Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo, Io, tu e tutti questi re, e mai nessuno di noi cesserà di esistere.” (Gita 2.12) Ciò significa che quando il corpo muore l’anima non muore con esso, ma trasmigra in un altro corpo. La sofferenza di Arjuna è dovuta al suo attaccamento per i corpi mortali di amici e parenti, e Krishna gli ingiunge di tollerare le inevitabili miserie della vita: “O grande tra gli uomini [Arjuna], chi non si lascia turbare né dalla gioia né dal dolore, ma rimane impassibile in entrambe le circostanze, è certamente degno della liberazione.” (Gita 2.15)

Mentre la gioia ci sembra facile da gestire, il dolore è un problema, ma la realtà è che se nella gioia ci lasciamo andare all’euforia, poi il dolore ci devasterà. Krishna ci consiglia dunque di mantenere una visione equilibrata di entrambi. Più avanti, nella Gita, il Signore paragonerà il corpo a un veicolo che può condurci al traguardo della vita, una destinazione necessariamente spirituale, perché noi siamo anime spirituali. L’anima è parte integrante di Krishna, il corpo è invece la Sua energia materiale esterna. Arjuna crede, proteggendo i Suoi cari dalla sofferenza del combattimento, di esprimere il suo amore per loro, ma Krishna non condivide questa visione: “L’essere vivente è indistruttibile, eterno e immensurabile, solo il corpo materiale è destinato a una fine certa; combatti dunque, o discendente di Bharata.” (Gita 2.18)

In ultima analisi, poiché il corpo non può essere protetto, Krishna ritiene che Arjuna si stia sottraendo al suo dovere spinto da un attaccamento sbagliato. Sbagliata è anche la convinzione di Arjuna che combattere porti alla sofferenza, e dopo avergli consigliato di restare equanime sia nella felicità che nella sofferenza, Krishna gli dice che perfino dalla sua prospettiva materiale combattere non può che condurlo alla felicità: “Se muori sul campo di battaglia raggiungerai i pianeti celesti, se vinci regnerai sulla Terra.” (Gita 2.37)

Quanto alla paura delle conseguenze, Krishna dice ad Arjuna che deve temerle se non combatte: “Se rifiuti di combattere mancando al tuo dovere religioso, certamente peccherai per aver trascurato i tuoi obblighi.” (Gita 2.33) Poco dopo Egli corrobora questo stesso punto:”Combatti per dovere, senza considerare gioia o dolore, guadagno o perdita, vittoria o sconfitta; così facendo non incorrerai mai nel peccato.” (Gita 2.38) Arjuna prevede che una volta uccisi i capi della società, questa cadrà nel caos, ma Krishna gli dice di nuovo che è vero il contrario: se Arjuna non compisse il suo dovere prescritto, gli altri seguirebbero il suo cattivo esempio e il tessuto sociale si sgretolerebbe.” (Gita 3.23-24)

Infine, dopo aver spiegato ad Arjuna i vari aspetti della conoscenza, del dovere e dell’azione, Krishna afferma con decisione: “Quindi, o Arjuna, dedicando a Me ogni tuo atto, in piena conoscenza della Mia persona, senza cercare il profitto o rivendicare il minimo possesso, e senza lasciarti prendere dallo sconforto, combatti.” (Gita 3.30) Più tardi insisterà: “Con la spada della conoscenza devi troncare i dubbi che l’ignoranza ha fatto germogliare nel tuo cuore. Armato dello yoga, o Bharata, alzati e combatti.” (Gita 4.42)

Krishna intende dissipare la confusione di Arjuna. Poiché il dharma specifico, ossia il dovere prescritto di Arjuna è combattere, egli non può peccare se lo compie in buona coscienza, cioè come un servizio a Dio, la Persona Suprema. Quest’azione spirituale, scevra da egoismo, gli varrà la gioia più elevata e in ultima analisi darà un beneficio anche alla sua famiglia, agli amici e a tutti coloro che parteciperanno alla battaglia. Srila Prabhupada commenta: “Tutte le persone presenti sul Campo di Battaglia di Kuruksetra, militari e non, morendo ottennero la loro forma spirituale eterna simile a quella del Signore, perché per la Sua misericordia incondizionata in quel frangente Lo avevano visto faccia a faccia.” (Srimad-Bhagavatam 1.9.39, spiegazione) Krishna vuole solo il bene supremo di tutti e seguendo le Sue istruzioni si giunge a questo traguardo.

Sentimenti di tenerezza

Durante le mie prime letture della Bhagavad-gita non vedevo alcun collegamento tra la difficoltà estrema di Arjuna e la mia vita. Ora invece mi accorgo che al di là delle circostanze, molto diverse tra loro, le prove che dobbiamo affrontare sono sostanzialmente uguali. Come Arjuna, io sono materialmente attaccata al mio corpo e a quello di familiari e amici. Per esempio, l’anno scorso mia figlia ha sofferto moltissimo di calcolosi biliare e io ho sofferto indirettamente con lei. Il corpo può causarci tanto dolore, in modi che non ci aspettiamo e neanche immaginiamo. Non dobbiamo ignorare il dolore, fingendo che non esista, né dobbiamo essere insensibili al dolore. Allora come dobbiamo gestire l’attaccamento materiale al corpo e la sofferenza che il corpo troppo spesso ci procura?

Lasciandoci guidare dalle parole di Krishna nella Gita possiamo iniziare ad accettare il fatto che questo mondo è un luogo di miseria, dove il dolore arriva inesorabilmente come la gioia. Non è pessimismo ma semplice realismo. Krishna dice: “Tutti i pianeti del mondo materiale, dal più alto al più basso, sono luoghi di miseria dove nascita e morte si susseguono ripetutamente.” (Gita 8.16) Situandoci fermamente in questa comprensione, tolleriamo. La tolleranza è un tema ricorrente negli insegnamenti di Krishna; una delle Sue prime istruzioni è: “Effimeri, gioie e dolori vanno e vengono come l’estate e l’inverno, o figlio di Kunti. Sono dovuti alla percezione dei sensi, o discendente di Bharata, e bisogna imparare a tollerarli senza esserne disturbati.” (Gita 2.14)

Dato che in questo mondo il piacere e il dolore si manifestano a prescindere da quello che facciamo o non facciamo, Krishna ci chiede di essere neutrali rispetto alle dualità materiali. Srila Prabhupada commenta: “Di solito esultiamo quando si verifica un evento favorevole e ci rattristiamo nel caso contrario, ma sul piano spirituale queste differenti condizioni non ci turbano più.” (Gita 13.8-12, spiegazione) Non è facile essere equanimi e distaccati quando uno dei nostri cari soffre, tuttavia, sapere che è possibile e auspicabile ci aiuta a liberarci dall’inarrestabile alternanza della gioia e del dolore. Accedere al tesoro della tolleranza ci permette di compiere il nostro dovere nonostante il malessere e il disagio, e se offriamo a Krishna il nostro dovere progrediamo spiritualmente.

Felicità Frustrata?

Arjuna crede che se farà quello che deve fare, cioè vincere la guerra, si ritroverà deluso e frustrato, ma Krishna corregge la sua visione affermando il primato del suo dovere sul suo piacere. Conosco dei giovani devoti che frequentano l’università e considerano i testi di studio insopportabilmente noiosi e inutili. Hanno un fortissimo desiderio di assecondare i propri capricci, ma se il senso del dovere prevarrà e proseguiranno gli studi in uno spirito di servizio a Krishna, le loro austerità daranno un risultato trascendentale. Krishna dice ad Arjuna: “Devi dunque compiere il tuo dovere di guerriero pensando sempre a Me nella Mia forma personale di Krishna. Dedicando a Me le tue azioni e concentrando in Me la tua mente e la tua intelligenza, senza dubbio verrai a Me.” (Gita 8.7)

Deviare dal nostro dovere non ci aiuta ad avanzare spiritualmente; non dobbiamo sottrarci al nostro dovere, come Arjuna non deve sottrarsi al suo. Prabhupada scrive: “Compiendo i propri doveri nei vari campi di attività, nel rispetto delle istruzioni ricevute dalle autorità spirituali, si giungerà a un livello superiore di vita.” (Gita 2.31, spiegazione) La via che Krishna illumina, ossia la paziente tolleranza del dolore, può sembrarci arida e cupa, ma il nostro dovere supremo, il sevizio di devozione a Krishna, è di fatto l’unica strada verso la felicità duratura. Krishna dice che questo dovere “si compie con gioia” (Gita 9.2) e Srila Prabhupada commenta: “Il servizio di devozione è un’attività gioiosa (su-sukham), perché consiste soprattutto nell’ascoltare e nel cantare le glorie del Signore (sravanam kirtanam visnoh).

E’ sufficiente ascoltare le narrazioni che riguardano il Signore o assistere ai discorsi filosofici sulla conoscenza spirituale tenuti dagli acarya riconosciuti; si può imparare semplicemente sedendosi e ascoltando. Si possono anche gustare i resti santificati del delizioso cibo offerto al Signore. Questo metodo è gioioso sotto ogni aspetto.” (Gita 9.2, spiegazione) Lungi dall’essere arido e cupo, se il nostro dovere diventa un servizio devozionale, compiuto per il piacere di Krishna, ci procura la gioia e la soddisfazione più grandi. Arjuna lo dichiara verso la fine della Bhagavad-gita: “Al Tuo nome il mondo intero si riempie di gioia.” (Gita 11.36) D’altro canto, cercare di essere felici senza Krishna ci lascia confusi e intrappolati in questo mondo di sofferenza, cioè nella stessa condizione in cui si trova Arjuna all’inizio della Bhagavad-gita.

La Paura del Futuro

Arjuna vuole evitare di dover subire in futuro le reazioni del karma, ma la realtà è che qualunque sia il nostro dovere, ha sempre qualche difetto, ossia degli aspetti sgradevoli e in una certa misura colpevoli. Non possiamo abbandonarlo pensando di sfuggire alle sue carenze e alle sue difficoltà, perché come il fuoco ha il fumo, così le attività materiali hanno delle imperfezioni che non possiamo evitare restando inattivi, perché l’anima è attiva per natura. Poiché l’inerzia è contraria alla nostra identità di esseri spirituali, è sia inattuabile che innaturale. Nondimeno, l’attività può essere problematica.

Srila Prabhupada scrive: “Nel campo degli affari capita che un venditore debba mentire per assicurarsi un profitto; se non lo facesse non ricaverebbe alcun provento. A volte si sentono venditori che esclamano: “Caro cliente, con lei non guadagno nulla!” Ma tutti sanno che senza avere un margine di profitto un mercante non può sopravvivere e che i suoi discorsi non sono veritieri.” (Gita 18.47) In questo mondo materiale dobbiamo fare qualcosa e possiamo agire secondo le nostre inclinazioni, ma alta o bassa che sia la nostra posizione, avrà in sé degli aspetti sgradevoli. E’ inevitabile. Continuiamo dunque ad agire sapendo che se compiamo il nostro dovere specifico per Krishna, non subiremo alcuna reazione, Krishna ci assolverà dal peccato.

Prabhupada commenta: “Nessuno deve abbandonare la propria occupazione naturale col pretesto dei disagi che questa provoca; si deve invece restare determinati a servire il Signore Supremo perseverando nel compito che ci è stato assegnato nell’ambito della coscienza di Krishna. Questa è la perfezione. Se un’attività è compiuta per la soddisfazione del Signore, diventa esente da ogni imperfezione; quando poi, a contatto col servizio devozionale i frutti dell’azione sono purificati, si arriva ad avere una perfetta visione del sé, cioè si ottiene la realizzazione spirituale. “ (Gita 18.48, spiegazione) Se Arjuna non compie il suo dovere, si degraderà per aver fatto la cosa sbagliata. La nostra situazione è analoga: se agiamo in modo capriccioso, decidendo arbitrariamente quale sia o non sia il nostro dovere, ciò si ripercuoterà sulla nostra coscienza e sul nostro progresso spirituale.

Il Senso di Colpa

Possiamo sforzarci di fare il nostro dovere per Krishna, rafforzare col servizio il nostro affetto per i Suoi devoti, provare gioia nel servirLo in modo disinteressato e comprendere che si tratta di un processo di purificazione che ci libera dalle reazioni del peccato. Ma che succede se, come Arjuna, presagiamo disastri sociali futuri dovuti al compimento del nostro dovere? Non faremmo meglio ad abbandonare questo dovere? Nel caso specifico di Arjuna no, in quanto egli è strumentale per la liberazione del mondo dal fardello di persone senza scrupoli. Noi potremmo invece doverlo riconsiderare.

Non molto tempo fa ho conosciuto una giovane e brillante devota che lavorava come biochimico nell’industria alimentare. Lei e il suo gruppo di lavoro asportavano dalle patate la sostanza chimica che le fa annerire quando vengono tagliate. Le compagnie produttrici di cibo industriale volevano vendere le patate pelate, lavate, tagliate e confezionate, come già facevano da tempo con le carote grattugiate. Chiesi alla devota quale effetto avrebbero avuto quelle patate sulla salute dei consumatori e lei rispose che il dipartimento sanitario federale le riteneva sicure, dato che non veniva operata alcuna aggiunta o alterazione di sostanze chimiche.

Tuttavia, ella concluse, nessuno conosceva gli effetti a lungo termine che il consumo di quelle patate avrebbe avuto sulla salute. Disse inoltre che stava cercando un altro lavoro, perché sentiva che quello attuale era moralmente discutibile. Non potei che essere d’accordo con lei. Nel mondo di oggi ci sono moltissimi lavori come questo, le cui ramificazioni sono quantomeno dubbie. Nei limiti del possibile e del funzionale, il nostro lavoro dovrebbe farci sentire in pace con noi stessi, col pianeta e i con tutti i suoi svariati abitanti.

La Confusione

Arjuna è un generale eroico e potente, eppure la confusione che i suoi conflitti interiori gli creano lo svuota di ogni forza. Ma per quanto la valutazione dei pro e dei contro di un suo eventuale coinvolgimento nella battaglia possa apparire come un segno di mediocrità e debolezza, è in realtà il sintomo delle sue qualità divine. Il fatto che i suoi avversari non considerino gli stessi pro e contro, cioè le conseguenze dolorose delle loro azioni e le possibili reazioni del karma sull’intera società, e che si ostinino a voler combattere senza la minima esitazione, è il segno chiaro della loro inadeguatezza a governare.

Krishna voleva che Arjuna allegerisse la Terra dal loro peso. In talune circostanze la confusione è benefica. Il nostro mondo è pieno di contrasti e di opinioni contrastanti, e chi di noi vuole agire in modo responsabile piuttosto che per un profitto materiale può sentirsi confuso. Osserviamo con attenzione come Arjuna risolve la propria confusione: avvicina un esperto e chiede la sua guida. Possiamo fare come lui. Prabhupada scrive: “Il Signore enunciò la Bhagavad-gita e fu così che Arjuna ottenne la realizzazione spirituale; ancora oggi chiunque segua il suo esempio riceverà lo stesso beneficio. E’ questo il fine delle Scritture.” (Srimad-Bhagavatam 2.7.3, spiegazione)

Arjuna traccia la via del rispetto e dell’umile servizio a un maestro spirituale autentico, del porgli domande e del seguire le sue istruzioni. E’ così che trova il conforto che possiamo trovare anche noi. Egli dice: “Krishna, tutto ciò che mi hai detto è per me l’intera verità.” (Gita 10.14) Più tardi, quando Krishna gli chiede, “Hai ascoltato con attenzione le Mie parole? La tua ignoranza e le tue illusioni sono ora svanite?” (Gita 18.72), Arjuna dà una risposta che rivela la sua chiarezza di mente e d’intenti: “Caro Krishna, o infallibile, la mia illusione si è dissipata e per la Tua grazia ho ritrovato la memoria. Ora sono determinato e libero dal dubbio, pronto ad agire secondo la Tua volontà.” (Gita 18.73) La stessa chiarezza ci attende se seguiamo l’esempio di Arjuna.

La Conclusione

Anche se il concetto di dovere ha un ruolo importante negli insegnamenti di Krishna nella Bhagavad-gita, non è detto che ci sia familiare o che ci attragga. Nondimeno, è inevitabile che la vita umana porti con sé doveri come assumersi le proprie responsabilità genitoriali, lavorare per sopravvivere, mostrarsi grati ai propri benefattori. La nostra è una vita di responsabilità e la responsabilità implica il dovere. Ciò con cui Arjuna si confronta sul campo di battaglia e con cui anche noi talvolta ci confrontiamo è il dovere sgradevole, quello che si oppone ai nostri desideri e forse al nostro senso di giustizia. Nei bellissimi versi della Gita, Krishna insegna ad Arjuna e a tutti coloro che sono pronti ad ascoltarLo che non dobbiamo fare nulla, di buono o di cattivo, per noi stessi, ma per Lui, la Persona Suprema.

Srila Prabhupada commenta: “Occorre svolgere il proprio dovere dipendendo completamente da Krishna, perché la natura essenziale dell’anima è di subordinazione a Lui. Non si può essere felici se non si coopera col Signore Supremo, perché la condizione eterna di ogni essere è rispondere ai Suoi desideri.” (Gita 3.30, spiegazione) Compiamo dunque il nostro dovere ricordando che Krishna è il beneficiario dei suoi risultati, non noi. Egli dice ad Arjuna e a noi indirettamente: “Tu hai il diritto di compiere i doveri che ti spettano, ma non di godere dei frutti dell’azione.” (Gita 2.47)

Più tardi dirà: “Qualunque cosa tu faccia, mangi, sacrifichi o prodighi, qualsiasi austerità pratichi, che sia un’offerta a Me, o figlio di Kunti.” (Gita 9.27) In breve, siamo destinati a svolgere i nostri doveri per Krishna. ServirLo è il nostro primo e più importante dovere, ed è a questo fine che ascoltiamo di Lui. Dopo l’ascolto desideriamo naturalmente glorificare le Sue qualità e le Sue attività. Se le pratiche dell’ascolto e del canto sono sincere, allora ricorderemo la Sua natura trascendentale. L’ascolto, il canto e il ricordo di Krishna spiritualizzerano sempre di più le nostre attività e crescerà la nostra percezione della Sua presenza nella nostra vita.

I nostri attaccamenti materiali svaniranno e con loro la paura, il senso di colpa e la confusione. Il sentiero s’illuminerà. Nel verso finale della Bhagavad-gita, Sanjaya, il narratore, dice: “Là dove si trovano riuniti Krishna, il maestro di tutti i mistici, e Arjuna, l’arciere supremo, certamente regnano anche l’opulenza, la vittoria, la potenza straordinaria e la moralità. Questa è la Mia opinione.” (Gita 18.78) Srila Prabhupada scrive che se usiamo bene la nostra minuta indipendenza, agiremo per il piacere di Krishna ed Egli ci darà la Sua protezione divina. Tutte le nostre miserie finiranno e torneremo alla nostra “condizione naturale, in seno alla potenza di felicità del Signore.” (Gita 18.78, spiegazione) La nostra felicità sarà allora eterna e completa.

 

Vishaka devi dasi scrive per il BTG dal 1973. Potete visitare il suo sito web, our.spiritual.journey.com.

 

 

 

Login utente