Chi sa comunicare è prima di tutto in grado di ascoltare!

Chi sa comunicare è prima di tutto in grado di ascoltare!

3133347219_37b8cccdc3_oLa volta scorsa (vedi articolo) abbiamo “assaggiato” il primo ingrediente per una buona comunicazione interpersonale, ossia una congruenza tra comunicazione verbale, non verbale e paraverbale. Oggi vediamo altri due ingredienti di un comunicazione efficace!

  1. Chi sa comunicare è prima di tutto in grado di ascoltare!

Per riuscire a comunicare in modo efficace bisogna imparare in primis ad ascoltare…ho detto ASCOLTARE, non SENTIRE! Quasi tutti infatti siamo naturalmente e costituzionalmente dotati di un sistema uditivo in grado di recepire i suoni esterni…ma quanti di noi sono in grado di ascoltare?

 

L’ascolto si divide in:

  • Ascolto passivo: non ascolto. Non prestare attenzione a ciò che l’interlocutore sta dicendo. Esempio: abbiamo passato una brutta giornata, ci è capitato qualcosa che ci ha resi particolarmente tristi, ci ritroviamo ad un tavolo con un nostro amico/una nostra amica con cui abbiamo bisogno di confidarci e lui/lei non fa altro che tenere lo sguardo fisso sul telefono digitano messaggi in chat con qualcun altro e annuendo a tratti, distrattamente (e a volte in modo incongruente). Vi sentite accolti? Confortati? Avete ottenuto quello che volevate? In una sola parola: vi sentite ascoltati?
  • Ascolto selettivo: porre attenzione a notizie che sono in linea con quanto pensiamo e confermano le nostre rappresentazioni mentali. Ecco che qui torna l’esempio della discussione tra innamorati. Mi rendo conto che è difficile notarlo quando siamo noi protagonisti del litigio, ma sicuramente ci sarà capitato di sentire quello di amici, parenti familiari…queste persone si ascoltano veramente!??! Oppure sono attenti solo a cogliere quella parolina (a volte l’unica) a cui si possono aggrappare per poi rispondere e portare avanti la propria tesi?
  • Ascolto attivo: sospensione del giudizio sui contenuti partecipando attivamente a ciò che l’altro dice. Chi usa l’ascolto attivo adopera un linguaggio verbale e non verbale in sintonia con quanto l’altro afferma, fornisce feedback (es: annuisce con il capo quando è concorde o quando ha capito quello che gli viene detto), evita di interrompere (a meno che non sia strettamente necessario/per chiedere ulteriori informazioni che chiariscano il contenuto), fa sentire la persona ascoltata e compresa, fa domande prima di trarre conclusioni, usa la parafrasi (ripete quello che viene detto con parole proprie) ed alla fine riassume quanto detto chiarificando il messaggio ricevuto (es: “se ho capito bene…” oppure “correggimi se sbaglio, da quanto mi hai detto ho capito che…”). Quanti di voi quotidianamente usano l’ascolto attivo? Quanti di voi si sono sentiti ascoltati attivamente nell’ultimo periodo?
  1. La comprensione del messaggio è collegata alla percezione di quanto viene comunicato.

 

La percezione è l’ elaborazione degli stimoli ambientali, ma come avviene questa elaborazione?

Transactional_comm_modelTutti gli esseri viventi non sono semplici emittenti o riceventi di un’ informazione: ciascuno da e riceve sempre una retroazione o feedback nei confronti del messaggio emesso o ricevuto e questa dipende proprio dalla percezione che si ha di esso, ossia dipende da come viene interpretato. L’interpretazione del messaggio dipende da motivazioni individuali e da esperienze passate che generano schemi mentali, ossia un insieme di dati archiviati nella mente che vengono attivati quando ci si trova di fronte ad una persona, un evento, una situazione. Gli schemi mentali sono a loro volta generati da rappresentazioni mentali, ossia  categorie cognitive che permettono di interpretare la realtà, le comunicazioni e i rapporti interpersonali.

La nostra mente funziona secondo il principio dell’economia cognitiva: per risparmiare tempo ed energie, essa è fisiologicamente portata a creare dei “cassettini” in cui inserire esperienze passate, soluzioni trovate, interpretazioni di quanto accaduto…questi cassettini vengono aperti ogni qual volta ci si trova di fronte ad una situazione nuova: per non perdere tempo la nostra mente cercherà delle analogie con un’esperienza passata e quando le avrà trovate aprirà quel cassetto e userà tutte le risorse a sua disposizione. Ora il problema è che una nuova situazione, seppur simile ad una passata, non sarà mai identica ad essa! Quindi è utopico pensare che ciò che è andato bene nel passato possa funzionare perfettamente e allo stesso modo nel presente (vedi tentate soluzioni disfunzionali). Usando questi schemi mentali, quindi, la persona sarà portata a distorsioni ed a commettere errori di valutazione a volte anche difficili da riconoscere proprio perché la nostra mente è portata a non riconoscere e ammettere eventuali errori. Facciamo un esempio: “quella persona mi sta antipatica a pelle!” quante volte ci siamo trovati a dirlo? E quante volte poi abbiamo cambiato idea? Sicuramente poche!! Proprio perché la nostra mente non è disposta ad ammettere l’errore, non è disposta a considerare ipotesi alternative diverse dalla propria ma, per il principio dell’attenzione selettiva (si, selettiva come l’ascolto) andrà a ricercare prove che confermano la propria ipotesi! Ed il bello è che noi facciamo tutto ciò in modo attivo, contribuendo alla conferma dell’ipotesi attraverso quella che viene definita “profezia che si auto avvera” (ne parleremo nei prossimi articoli). Ma perché quella persona allora ci sta antipatica a pelle? Di certo non per vibrazioni o energie che emana o perché noi abbiamo il dono della chiaroveggenza, ma più probabilmente perché ci ricorda una persona del passato, una situazione già vissuta e così la nostra mente, in modo automatico e non cosciente, andrà ad aprire quei famosi cassettini…ed ecco lì, il gioco è fatto!

 

Strettamente collegato a ciò troviamo i concetti di pregiudizi e stereotipi. Il termine stereotipo può avere un’accezione sia positiva che negativa (mentre il pregiudizio solo negativa) e si riferisce ad una visione semplicistica, distorta e condivisa: è un modello fisso di conoscenza e di rappresentazione della realtà. Utilizzando stereotipi e pregiudizi ricorriamo ad una scorciatoia mentale che rispecchia una valutazione rigida e non corretta dell’altro, trascurando le possibili ipotesi alternative/differenze che potrebbero esserci tra la situazione attuale ed il nostro schema mentale.

pair-707509_1280Riportando il tutto a livello pratico, se ormai noi ci siamo fatti un’idea di una persona (sia essa conosciuta da tempo o da poco) proprio quella idea andrà ad influenzare la nostra relazione, le nostre comunicazioni e le nostre azioni. Quante volte all’interno di una relazione ci siamo sentiti in un punto morto, impotenti di fronte all’evoluzione della storia in negativo. Quante volte abbiamo detto a noi stessi “ma come ci siamo arrivati a questo punto?”, “quando è iniziato tutto?”. Quante coppie non riescono più a comunicare in modo sereno e tranquillo e non sanno neanche più da quanto? Quante coppie vedono l’altro ormai come quello segnato dalla lettera scarlatta, quello che è cambiato in modo irreversibile, quello che non più lo stesso?…e magari con gli amici invece è ancora la persona che avevano conosciuto? E ovviamente viceversa…anche l’altro avrà la stessa percezione di noi! Ma non è solo colpa dell’altro, non è l’altro ad essere cambiato…è la comunicazione ad essere mutata, è l’immagine che noi abbiamo dell’altro, l’etichetta che gli abbiamo messo e che ci porta a vederlo sempre nello stesso modo.

 



Chi sa comunicare è prima di tutto in grado di ascoltare!

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