Fuori dal solco Giudizio e constatazione
Fuori dal solco
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Giudizio e constatazione
In questo articolo voglio stimolare una riflessione sulla distinzione fra queste due parole, e parlare di come la prima rappresenti una distorsione della seconda, ponendosi rispetto ad essa, per dirla in termini musicali, su di un’ottava inferiore.
Supponiamo io dica: “il tuo maglione è rosso”. Constatazione. Sto osservando uno stato di cose, dal mio punto di vista beninteso: stanti gli strumenti di percezione a mia disposizione, posso constatare che il maglione ha quel colore.
Adesso invece dico: “hai fatto un buon lavoro, sei stato bravo”. Giudizio. Qui non solo constato un fatto, ma mi spingo oltre: mi sbilancio esprimendo la mia opinione sul fatto osservato, ed in qualche modo mi schiero, prendo posizione.
Nell’esempio riportato la differenza è piuttosto evidente; sembra addirittura che le due parole non siano neppure lontanamente imparentate.
Eppure accade spesso che le cose non stiano così, ed i due livelli si mischino portando a conseguenze non sempre vantaggiose. Tornando all’esempio precedente, potrei dire: “ma il tuo maglione è rosso!”, utilizzando un tono che, accompagnato dal contesto, sottintende: “siamo ad un funerale, non potevi vestirti in modo più sobrio? Sei decisamente irriverente!”
Per sgomberare il campo da equivoci, ti dico subito che a mio avviso il giudizio è di per sé negativo (ooops… giudizio! Scusa, volevo dire: poco utile); direttamente o indirettamente presuppone una morale, e la morale è sempre troppo soggettiva e legata a contesti socio temporali per aiutare a capire la realtà.
Non a caso, le moderne tecniche di problem solving si avvalgono proprio della sospensione del giudizio al fine di non farsi trarre in inganno dai preconcetti. Ma questa è un’altra storia.
Ciò che voglio sottolineare è come troppo spesso, nelle relazioni interpersonali ma non solo, giudichiamo invece di constatare. Siamo proprio sicuri di essere nella posizione di arrogarci tale diritto?
Ma l’aspetto peggiore è il duale della questione: poiché siamo così abituati a comportarci in tal modo, tendiamo ad osservare negli altri un atteggiamento analogo, ed ecco che ravvisiamo giudizi anche laddove non ve ne sono, e ci sentiamo in continuazione giudicati; oppure temiamo di esserlo, e per questo evitiamo di metterci in gioco.
Questo mi porta ad una sottile interpretazione del passo biblico:
Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. (Matteo 7,1-2)
che, a ben vedere, non necessariamente deve essere considerato come un mero meccanismo di premi e punizioni messo in atto da una qualche divinità trascendente.
Non ci sono entità giudicanti esterne, ma sei tu stesso che, a causa della propensione al giudizio, finisci col sentirti a tua volta valutato dagli altri, a prescindere dal fatto che lo facciano realmente. Come ha giustamente osservato Salvatore Brizzi, Gesù è stato un fine psicologo.
Alla luce di ciò, lo sforzo che mi propongo da ora in avanti è pertanto quello di limitarmi ai fatti, ogniqualvolta mi trovi a fare delle valutazioni, senza andare oltre il discernimento di ciò che è utile da ciò che non lo è.
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