La Luce nell’Ombra

La Luce nell’Ombra

 

Ognuno di noi percepisce una tensione, come un fine da perseguire, spesso non ben definito, un bisogno di procedere verso qualcosa. Jung si era già differenziato da Freud per questa visione teleologica dell’inconscio e Assagioli farà altrettanto.

Ogni paziente, in fondo, si sente come bloccato nel suo progetto di vita, vede che le cose non vanno come lui sente che dovrebbero andare.
Shri Aurobindo nota che, nel prendere coscienza del nostro fine, siamo come accompagnati da un’ombra costituita da una difficoltà particolare che si oppone a questo fine e che si presenta ogni volta in cui sentiamo di aver fatto un passo verso di esso. Shri Aurobindo chiama questo fenomeno l’avversario.
Man mano che ci avviciniamo al nostro fine percepiremo questa opposizione al fine stesso in maniera sempre più forte. È come una forza uguale e contraria che si manifesta nel nostro procedere verso il Sé, una legge interiore di reciprocità inversa, simile alle leggi della fisica che regolano il mondo della materia (vedi principio di Archimede).

Ombra e luce vanno di pari passo, ma anche nell’Ombra sono insite le potenzialità di crescita, nell’Ombra vi è la luce.

Il fine ci pone come davanti al problema dell’integrazione dell’Ombra. Una posizione manichea ci direbbe che noi dovremmo eliminare l’Ombra ma ciò non è possibile in quanto essa costituisce la controparte inevitabile di ciò che c’è alla luce cosciente della personalità.
Il fine, dunque, la nostra autorealizzazione, non ci chiede di eliminare qualcosa ma piuttosto di integrare, il fine non elimina la polarità degli opposti ma li abbraccia entrambi per giungere ad una sintesi superiore che li contiene e li supera contemporaneamente.

Anche il dolore più atroce e la sofferenza più estrema nascondono la verità del Sé, anche l’inconscio inferiore possiede nelle sue profondità la luce dell’anima, la soluzione del problema, la ripresa del cammino.

Anna, una donna che era stata vittima di stupro da parte del suo datore di lavoro all’età di diciotto anni, chiedeva al suo terapeuta di poter vivere di nuovo felicemente, senza più paure ma la sua mente da anni la teneva stretta in una morsa di terrore, di ricordi tenebrosi e mortiferi. Per superare il trauma non poteva negare questa vicenda della sua storia personale, cancellarla dalla memoria o respingerla lontano semplicemente perchè era una cosa brutta e malvagia. Il passo da compiere era proprio l’opposto, cioè riconoscere l’inevitabilità di questo avvenimento, che costituiva una parte stessa del suo viaggio. Non esistono esperienze vere ed esperienze false, tutto ciò che esiste è vero e un passo fondamentale e necessario è accettare il dolore ed il suo esserci.
Anna stava cercando istintivamente la felicità, però voleva che ciò si realizzasse senza cambiare il suo atteggiamento rispetto alla propria storia personale. Questo è il gioco con cui spesso le polarità psichiche ipnotizzano la coscienza, esso ci porta a credere che la felicità sia raggiungibile senza modificare la relazione con i nostri oggetti interni e senza instaurare un processo di sintesi che, sebbene parziale, tende a ristabilire un contatto con il Sé, mantenendo al proprio interno scissioni, negazioni e conflitti.

Il terapeuta può aiutare la persona a divenire sempre più responsabile e cosciente del proprio dolore, a non sfuggirgli, né cercare di eliminarlo.

Più il male e il dolore sono profondi, più necessitiamo di un amore ancora più grande del dolore provato; non ci sono solo cime ma anche abissi di verità. Nella costituzione del nostro Ego vi è l’anelito al ricongiungimento con il Sé, con la nostra vera essenza.

 

a cura di Umberto Petrosino

 



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