Per molti di noi parlare di “perdono” rimanda ad insegnamenti religiosi, distanti nello spazio e nel tempo dalla nostra quotidianità.

Al contrario, abbiamo grande familiarità con il suo opposto: la colpa, che siamo soliti rivolgere a noi stessi e agli altri, ogni volta che la vita non va in accordo con ciò che avevamo prefissato o le persone intorno a noi agiscono in modo diverso da quello che ci aspettavamo.

“Esercitiamo” così spesso la colpa che essa è diventata una vera e propria abitudine, la risposta automatica alle esperienze difficili che incontriamo. Risposta immediata al nostro bisogno di trovare una causa alla sofferenza e al tentativo di controllarla.

I neuroscienziati confermano che i comportamenti che ripetiamo più volte si rinforzano, generando alla lunga risposte automatiche (“i neuroni che si attivano insieme si connettono insieme” D. Hebbs)

La colpa diventa un comportamento automatico volto a rifiutare la sofferenza e a rinnegare le nostre parti vulnerabili o ferite.

Una pratica di consapevolezza che possiamo fare, ogni volta che sentiamo la colpa, è “andare dentro” quella colpa e offrirci gentilezza.

Riconoscere e offrire gentilezza alle parti vulnerabili o ferite non significa condonare il gesto che è stato compiuto, ma piuttosto poter vedere al di là del giudizio e della condanna.

Poter riconoscere l’umanità e la vulnerabilità che ci rende umani, imperfetti e fallibili. Poter “scendere” nel cuore e contattare la grande verità che “la sofferenza origina dalla sofferenza” e che quando siamo felici o appagati non danneggiamo gli altri.

Riconoscere la sofferenza come causa del danno non è un invito a rimanerne esposti, è protettivo e importante mettere dei confini. Tuttavia, anziché rimanere bloccati nelle risposte reattive con rabbia e giudizio, possiamo riconoscere la sofferenza e connetterci alla qualità umana della compassione.

Praticare compassione, anziché rabbia, ci permette di non aggiungere sofferenza alla sofferenza, di non aggiungere colpa al dolore.

La pratica di consapevolezza in relazione alla colpa e alla possibilità di perdonare, di perdonarci, rappresenta un invito prezioso ad accoglierci e prenderci cura di noi stessi e possiamo farlo attraverso i seguenti permessi:

“Posso essere imperfetto”, “Posso fare errori” “Posso stare ancora imparando le lezioni della vita” “Posso perdonarmi e guardare alle mie vulnerabilità con gentilezza”

Possiamo estendere questi permessi anche alla persona che mi ha arrecato un danno, riconoscendo che anche lui/lei potrebbe essere bloccata nella ripetizione della sofferenza: che il suo comportamento potrebbe originare dalla sua confusione, dalla sua paura, da bisogni profondi non soddisfatti.

“Puoi essere imperfetto” “Puoi fare errori” “Puoi stare ancora imparando le lezioni della vita” “Posso perdonarti e guardare anche alle tue vulnerabilità con gentilezza”

(Three liberating gifts: Forgiveness – Tara Brach, 2015)

La pratica di consapevolezza e di compassione ci offre la possibilità di crescere e prenderci cura di noi stessi, andando al di là degli automatismi che ci bloccano dentro l’evitamento o l’avversione al dolore, per poterci finalmente liberare dall’armatura che stringe il nostro cuore ed incontrare l’umanità condivisa, a volte ferita, che ci abita.

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A presto!