Empatici come gli Angeli
Empatici come gli Angeli
Lo sguardo luminoso, un sorriso aperto, la generosità in persona: questa è la persona empatica.
E’ lo specchio degli Angeli, perché porta in sé la stessa freschezza e generosità dei nostri protettori.
La scienza ci dimostra che empatia e simpatia sono sorelle, ma agire per il benessere degli altri è impegnativo e parecchi tra di noi non amano essere “usati”, quindi in ultima analisi è una scelta, una scelta che non tutti noi attuiamo.
Perché usati?
Perché spesso il darsi agli altri gratuitamente, anche solo con l’ascolto, ci comporta il farci carico di ciò che non ci appartiene, ma accogliamo lo stesso amorevolmente, per via di questa nostra “modalità”.
L’empatia è veramente un qualcosa di particolare, un diamante dalle mille sfaccettature: è imparare a sorridere di più, nonostante le tue giornate siano magari diversamente ok.
Come si fa?
Semplice, per la scienza attivando i neuroni specchio, cioè dei trasmettitori del cervello, che reagiscono quando incrociamo le emozioni delle altre persone, mentre per gli Angeli è lasciare che la nostra Anima si espanda e si mescoli con l’Anima di chi ci sta davanti, al punti che c’è un passaggio illimitato di informazioni emotive e non solo, anche di tipo, talvolta, fisico.
Queste notizie trasmesse senza la parola, sono le sentinelle che ci dicono: “Ciò che vedi ti riguarda, non è soltanto uno spettacolo”.
È lì, di fronte alla vita, alla realtà dell’altra persona, che a noi empatici, scattano le reazioni che permettono di provare appunto questa sensazione unica dell’empatia, cioè di mettere in gioco la nostra capacità di capire la condizione in cui si trovano gli altri esseri umani.
Bello?
Domanda alternativa??
Essere persone empatiche vuol dire, infatti, mettersi nei panni degli altri e far proprio ciò che sentono.
Sooob.
Tutti la sperimentiamo?
No!
C’è chi non sa proprio di cosa in questo momento io stia scrivendo, né parlando, perché il mondo intorno a noi potrebbe crollare, ma emotivamente ci sono persone che sono capaci di rimane in uno stato di distacco totale, perché non provano questa identificazione, cioè non gli nasce dentro, in modo naturale, nessun riflesso in risposta a quanto hanno sentito o visto.
Da cosa dipende questa differenza comportamentale?
Cuore di ghiaccio?
L’empatia esprime davvero e sempre un atto altruistico?
Se vogliamo osservare la cosa da un punto di vista più tecnico, scientifico, sembra che alcuni studi sulla neurobiologia e su alcune patologie, come l’autismo, siano riusciti a dimostrare che la capacità umana dell’empatia è un vero e proprio “super potere” della mente e che, la sua mancanza, non deriva dalla scarsa moralità o apertura del cuore, ma da un vero e proprio disturbo, che hanno chiamato alessitimia.
Che nome incasinato!
Sembra etimologicamente che stiamo parlando di qualcosa di leggero, lieve, ma così non è.
Non partecipare nella maniera più assolta e totale ai “disastri emotivi”è altrettanto faticoso.
Com’è riuscita la scienza a giungere a queste conclusioni?
Lo hanno rilevato studiando il comportamento di alcuni pazienti autistici, che sappiamo sono stati a lungo considerati come soggetti incapaci di provare emozioni e, dunque, di comprendere quelle degli altri.
Al contrario, si è poi capito che l’autismo è associato proprio a una risposta empatica normale verso gli altri e a una tendenza più forte della media a evitare di farsi del male o farlo all’altro.
Abbiamo un “cervello morale”, diciamo così, che è sintonizzato, in modo più profondo, sul benessere degli altri.
La nostra parte cognitiva ci fa vedere la situazione che vive una persona e quella affettiva ce la fa vivere con lei, ma non basta: c’è un terzo elemento, cioè la motivazione per andare in suo aiuto, in pratica la nostra risposta alla sua fatica o a quella del mondo.
Se dentro ci nasce la spinta alla cura, può nascere anche la spinta alla nostra protezione, cioè al non voler patire con lei e come lei.
Se questo accade ci troviamo a dover scegliere: aiutare e stare ” “male,
o poco bene, con lei”, correndo il rischio di diventare come spugne e magari, successivamente, come stracci, o rifiutare questa mano e quindi sentirci poi degli emeriti “str…” ed entrare in uno stato di senso di colpa?
E’ allora che in qualcuno, come forma di autodifesa, scatta la alessitimia, che è ciò che impedisce il rimorso.
In pratica, alcuni tra noi, spengono la propria empatia e addormentano tutte le emozioni, perché una parte interna di loro, gli suggerisce che non conviene provarle, perché non ne ricaverebbero nessun beneficio.
Differenza tra uomini e donne?
Secondo la scienza, nessuna.
Lo stereotipo, secondo cui le donne piangono e curano di più, perché sono più sensibili, mentre i maschi prediligono l’azione, perché sono più forti emotivamente, con questa scoperta, è quindi tragicamente crollato, sotto i colpi di queste nuove scoperte.
C’è una sociologa americana, che preferisce parlare di simpatia, più che di empatia.
I suoi studi sostengono che questa esperienza emotiva può sembrare una reazione naturale e riflessiva, ma non vorrei distorcere il suo pensiero, quindi mi fermo qui, ricordando soltanto che lei sostiene che iniziamo ad essere simpatici, ( ed è un’arte che si impara), quando iniziamo a camminare nel mondo.
Ma da cosa dipende l’empatia, come la comunichiamo?
Beh, da cosa dipende, spero di essere riuscita a condividerlo con voi, mentre per il come, posso dire che il maggiore potere lo detiene il nostro sguardo, lo specchio, guarda caso dell’Anima.
A chi non è mai capitato di essere rapito da uno sguardo che incrocia il nostro, in modo improvviso, inaspettato?
Gli occhi, io ritengo, siano veramente lo specchio dell’anima.
Osserviamo come ci siano persone che, quando le incontriamo, tendano a sfuggire sempre, dal confronto con i nostri occhi, mentre altre, per me meravigliose, che ci fissano e sembrano curiose di capire come siamo?
Uno sguardo aperto, sincero, che non teme esami è di certo il primo passo che permette alle persone di venirsi incontro e creare confidenza.
E’ un gesto unico, meraviglioso.
Allo stesso modo, uno sguardo severo, una fronte corrugata, occhi duri e sfuggenti, danno un senso di brivido lungo la schiena, ci allontanano, creano diffidenza e incutono soggezione e paura, magari, qualche volta, anche rispetto.
Empatia e simpatia, per essere attivate, richiedono calore ed è lì che prende vita quella luce negli occhi, che può accendere un fuoco che riscalda chi vi sta di fronte.
Non è bello?
Io non vorrei mai essere la regina dei ghiacci di Narnia, e voi?
Subito dopo lo sguardo viene il sorriso, che nasce quasi in simultanea.
Un sorriso che rompe tutte le barriere.
Questa cosa mi ricorda Patch Adams, un medico americano, conosciuto in tutto il mondo, per le sue tecniche di “cura”, non proprio aderenti al protocollo ordinario.
Ogni volta che entrava nella stanza di un paziente, soprattutto quando si trattava di bambini, indossava un naso rosso da clown.
Perché?
Perché era un po’ “stonato”?
No!
Semplicemente perché con quel piccolo messaggio “simpatico”, crollava immediatamente quel senso di separazione, che fa muro, tra il medico e il paziente, tra chi è malato e chi ha il potere di guarire.
Patch aveva compreso che curare una persona non è solo un fatto di terapia medica, perché la prima medicina deve arrivare al cuore, sempre.
La malattia, prima ancora di essere un qualcosa di fisico, è un qualcosa di interiore, un malanno dentro, qualsiasi sia la patologia, da una semplicissima emicrania, ad una reazione allergica, ad una malattia esantematica infantile.
Tutto nasce prima dentro.
Virus, batteri e danni vari vengono dopo, alla fine di un percorso “infettivo”, di ben altra natura.
Spesso il calore di un gesto, di un sorriso, sono efficaci quanto una medicina o molto di più, soprattutto con i terminali.
Le ricerche moderne hanno provato l’effetto dell’empatia e della simpatia nel percorso di recupero dei pazienti.
Le “terapie” dei medico-clown sono diventate un’abitudine nei reparti di molti ospedali, con effetti veramente sorprendenti ( vedi anche certi nostri grandi ospedali milanesi e non solo).
E’ soprattutto in ambito oncologico che trovano ora applicazione quelle tecniche del dottor Patch Adams, che in realtà si chiama Hunter Doherty, uno Spirito “folle” e sicuramente libero, venuto per portare un modo diverso di vivere la malattia, il dolore e la morte; lui non si arrende mai, di fronte a nessun ostacolo.
Ha un compito meraviglioso e credendoci e non lasciandosi imbrigliare da niente e nessuno, lo sta promuovendo da sempre e con eclatanti risultati.
La sofferenza o il benessere non riguardano solo il corpo e sorridere aiuta a ricordarci che, nella nostra fragilità, siamo tutti umani e insieme è tutto più semplice.
Lo so, sono consapevole che l’empatia e la simpatia possono trasformarsi, purtroppo, in un’arma a doppio taglio.
Non esistono solo gli affetti da allessitimia, ma anche le persone che sanno parlare alla pancia degli altri, soprattutto a coloro che sono empatici, le prede più ambite, perché sanno fregarci alla grande, perché sanno far leva sugli interessi, sui valori e sulle paure di chi hanno di fronte.
Dietro la loro maschera sorridente e affabile, si nasconde in realtà un pezzo di cacio, come direbbe un’amica toscana, cioè una figura con un forte lato oscuro, che li guida nell’usare o meglio “abusare” delle emozioni altrui, per guadagnare potere sugli altri, su di loro.
Non è sempre facile accorgersi dell’inganno, mentre lo è, cedere al fascino di chi sembra affidabile, molto affidabile, forse più degli altri e del dovuto.
Se non si conosce davvero una persona o se non si ha modo di interagire direttamente, è forse il caso di essere prudenti.
Arte oratoria e capacità persuasiva sono strumenti efficaci, e terribili a volte, se dietro non ci sono un cuore,, un’anima pulita e intenzioni positive e veramente costruttive.
L’empatico dà in modo gratuito.
I latini usavano il termine cum-patire, cioè “sentire con”.
Questo è il senso delle parole empatia e simpatia.
Essere empatico è avere un cuore generoso, è avere la capacità di regalarsi in modo aperto, istintivo.
Qualcuno dice che si può imparare, addestrando la mente alla gentilezza, ma quella io la reputo più come gentilezza e simpatia, non empatia in senso vero e pieno del termine e so che occorre anche creare le condizioni introno a noi, perché questa simpatia possa emergere, ed è e sarà sempre un qualcosa di parziale e diverso, rispetto all’empatia vera e propria…
Creare un mondo empatico, gentile e capace di sorridere è molto importante, soprattutto oggi, ma dipende anche dalle scelte che facciamo, momento dopo momento, e dal linguaggio che scegliamo.
Le nostre azioni e le parole possono davvero fare la differenza.
Sta sempre a noi scegliere quali usare, e poi se usarle come ponti o come barriere.
Di certo, si può distinguere, con un po’ di allenamento e di palate, quando sono sincere e quando no.
Un gesto sincero, una parola piena di calore la senti, perché arriva dritta al cuore.
Dunque, non avere dubbi, chi hai di fronte sta cercando di mettersi in comunicazione con te ed è così che l’empatia si trasforma in simpatia.
Ma ritornando a noi.
E’ certo che gli empatici sono delle vere e proprie spugne acchiappa emozioni,( provare per credere!), e riescono a fare proprie le sensazioni e i sentimenti altrui senza volerlo, la maggior parte delle volte subendone solo le condizioni negative.
Collera, stress, frustrazioni, sono le emozioni di cui spesso gli empatici si fanno carico.
Ecco perché è importante imparare a proteggersi, con alcune semplici mosse.
Se sei una persona con una forte empatia, sai meglio di chiunque altro che non è poi così difficile sentire il dolore altrui, come se fosse proprio, soprattutto quando anche tu sei in una fase no, cioè stai attraversando un periodo non semplice e quindi sei ancora più esposto: sei come un filo della luce spelato.
Ma come si può arrivare a proteggersi?
Beh, qualche piccolo consiglio, l’avrei..
Gli empatici, come ribadito più volte, sono persone ipersensibili, che percepiscono le sensazioni e la realtà, in maniera più netta e intensa. Purtroppo non tutte le emozioni, che avvertono,sono positive; ci sono quelle negative e guarda caso sono quelle che riescono a condizionare maggiormente noi empatici.
Se ci sono però situazioni non gestibili, perché non dipendono da noi e/o non possiamo evitare, dobbiamo però tutelarci nelle relazioni personali, vale a dire nella cerchia delle amicizie, oppure familiari o di vicinato.
Siamo continuamente condizionati dal gruppo di persone che frequentiamo, per cui tendiamo, sooob, a farci carico di problemi che non ci appartengono davvero e ad intriderci.
Essere empatici significa essere più sensibili e spesso più fragili, rispetto alla massa, quindi dobbiamo evitare, dove è possibile, di farlo o meglio di raccogliere ciò che non va.
- “Che empatico sono?” dovremmo chiederci.
- Prima di imparare a proteggersi, è importante capire che tipo di empatia abbiamo.
- Cosciente o telepatica?
- È importante sapere di che natura sono queste pulsioni se vogliamo imparare a controllarle.
Ogni qualvolta che finiamo con l’imbatterci in una sensazione negativa, dovremmo chiederci se è legata ad un nostro malessere o se è legata ad un malessere altrui.
Come?
Concentrandoci su di noi e su ciò che proviamo.
Se siamo in una fase no, quindi portati ad essere più reattivi e assorbenti, è meglio se allontaniamo le persone tossiche, anche se io consiglio di farlo sempre, visto che una persona lagnosa e una schizzata non fanno bene comunque, a nessuno.
Ascoltiamo le nostre sensazioni e se percepiamo che una persona è tossica non esitiamo un solo minuto ad allontanarla.
Ne va della nostra serenità mentale e fisica, del nostro “santo equilibrio”.
Per questo, cerchiamo sempre di evitare tutte le situazioni a rischio.
Impariamo a riconoscere le persone tossiche, vale a dire quelle che rilasciano energie negative a piene mani, e a scansarle.
- Un altro consiglio, spicciolo, è anche quello di evitare i luoghi affollati, come i centri commerciali, soprattutto nelle ore di punta, perché le vibrazioni energetiche in quel frangente si condensano e molte vibrazioni di basso “lignaggio” hanno il loro effetto deflagrante su di noi, a vari strati.
- Circondiamoci invece di persone che ci vogliono bene.
Prendiamoci dello spazio per noi, creiamo il nostro bellissimo spazio/ nido o rifugio, come lo vogliamo chiamare, nel quale stare bene e poter cercare pace, serenità, ricarica e soprattutto conforto e amore, nei momenti di difficoltà.
Meditare aiuta a raccogliere le idee e a rilassarsi. - Dovremmo imparare a circondarci di amore e amorevolezza, oltre che ad offrirla.
Circondarsi di amore, di pace e di gioia.
Come? - Trascorrendo del tempo con persone positive, che ci fanno sentire bene, che sentiamo vibrare sulle nostre frequenze, che amiamo, apprezziamo, sappiamo e riusciamo a cogliere come buone e che mai, nemmeno un istante, ci danno un senso di affaticamento o ci portano a pensare di aver perso del tempo.
- Impariamo, noi per primi, ad essere sempre persone generose, compassionevoli, sia verso gli altri, che verso noi stessi.
Essere delle persone empatiche è meraviglioso, e lo dico serenamente, con convinzione, pur avendo provato spesso molto dolore nella mia Vita; è vivere “follemente”, in maniera costruttiva e alternativa, per questo è molto importante capire come proteggersi dalle emozioni negative che non giovano né a noi, né a chi sosteniamo e/o amiamo.
Cosa ne pensate?
Per oggi è tutto.
Mi accomiato abbracciandovi dolcemente…
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